Sentenza del Tar del Lazio sulla pesca al tonno
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REPUBBLICA ITALIANA IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO SEZIONE
SECONDA ter Ha pronunciato la seguenteS E N
T E N Z A Sul ricorso n. 19521 del 2000 proposto da SANTOLINI GIANFRANCO in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Associazione BIG GAME ITALIA, DE MARPILLERO GIANNI in proprio e quale legale rappresentante dell’E.F.S.A. I.S. (European Federation of sea anglers- Italy section), CRAVINO MAURO, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Mauro Casanova, Francesco Mondini e Francesco Guido Romanelli, nello studio dei quali hanno eletto domicilio in Roma, via Cosseria n. 5; contro il MINISTERO PER LE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12; e con
intervento ad adiuvandum della ITALCANNA s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Mondini, Mauro Casanova e Guido Francesco Romanelli, presso lo studio dei quali ha eletto domicilio in Roma, via Cosseria n. 5; per
l’annullamento del decreto ministeriale 27 luglio 2000, pubblicato sulla G.U. n. 180 del 3.8.2000, relativo a “Determinazione dei criteri di ripartizione delle quote di pesca del tonno rosso”, in parte qua; i
pareri del Comitato nazionale per la conservazione e gestione delle
risorse biologiche del mare, e della
Commissione consultiva centrale della pesca marittima, resi nelle
riunioni dei giorni 8 .5.2000 e del 13.6.2000; visto
il ricorso con i relativi allegati; visti
l’atto di costituzione in giudizio e la memoria
dell’Amministrazione intimata; vista
la propria ordinanza collegiale n.10496 del 6 dicembre 2000; visti
gli atti tutti di causa; relatore
alla pubblica udienza del 3 maggio 2001 il consigliere Carlo
Taglienti; uditi
alla stessa udienza gli avvocati Casanova e Mondini per i ricorrenti e
l’interveniente, e Greco per il Ministero resistente; ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTOCon ricorso notificato il 10 novembre 2000 e depositato il 20 successivo le associazioni e le persone fisiche in epigrafe indicate hanno impugnato il decreto del Ministero per le politiche agricole e forestali del 27 luglio 2000 riguardante “Determinazione dei criteri di ripartizione della quota integrativa di pesca del tonno rosso”, nella parte in cui viene disciplinata anche la pesca sportiva al tonno rosso, nonché tutti gli atti presupposti e connessi, ed in particolare i pareri emessi dal Comitato nazionale per la conservazione e la gestione delle risorse biologiche del mare e dalla Commissione consultiva centrale della pesca marittima. I ricorrenti, associazioni sportive aventi come scopo la promozione dello sport della pesca sportiva in mare e pescatori sportivi persone fisiche, deducono le seguenti censure avverso il decreto suddetto, ed in particolare avverso l’art.5 che disciplina la pesca sportiva: 1) violazione dei Regolamenti n. 2742/99 CE , n.3760/92 CE, n.2847/93 CE , degli articoli 38, 39, 40 e 43 del Trattato CE; incompetenza, eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto: la normativa comunitaria è relativa alla sola pesca professionale; la pesca sportiva è notoriamente per solo uso personale ed è vietata la vendita del pescato; 2) violazione degli artt. 17 e 32 della legge n.963/65 e degli artt. 137 e sgg del DPR n.1639/68, violazione dei principi generali sulla gerarchia delle fonti:, incompetenza, eccesso di potere per difetto di motivazione ed errore sui presupposti di fatto e di diritto: l’art. 5 del D.M. impugnato modifica il DPR n.1639/68 sulla pesca sportiva; questa disciplina può essere regolamentata solo con DPR e non con D.M.; 3) violazione dell’art. 143 del DPR n. 1639/68 e degli artt. 1 esgg della legge n. 50/71; eccesso di potere per illogicità, travisamento, errore, disparità, contraddittorietà: nella pesca sportiva possono essere utilizzate solo unità da diporto e non navi od altri mezzi, come previsto nel citato art.5; la disciplina delle unità da diporto è assai dettagliata e prevede già iscrizioni in registri ed esenzioni per alcuni tipi di unità: i natanti da diporto in particolare sono esenti dall’iscrizione in registri e dall’obbligo di licenza; in ogni caso la competenza sarebbe del Ministero dei trasporti e della navigazione; 4) eccesso di potere per illogicità manifesta, errore nei presupposti di fatto e di diritto, disparità di trattamento, incompetenza, violazione dell’art. 143 del DPR n. 1639/68: è del tutto illegittima la fissazione di un termine perentorio, al 30 settembre 2000, per l’iscrizione nel registro; 5) eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto d’istruttoria, errore sui presupposti di fatto: è previsto un periodo limitato per la pesca sportiva e non per quella professionale; 6) violazione dell’art.142 del DPR n. 1639/68: contrasta con detta norma la limitazione di pesca di un solo tonno per settimana; 7) errore sui presupposti di fatto e di diritto, incompetenza, illogicità, disparità di trattamento, in relazione all’obbligo di comunicare il pescato solo per le navi. Con atto d’intervento ad adiuvandum la società Italcanna ha sostenuto con analoghi argomenti l’illegittimità in parte qua del decreto impugnato. Con ordinanza n. 10496 del 6 dicembre 2000 è stata respinta l’istanza cautelare per insussistenza di un danno grave ed irreparabile. Costituitosi il Ministero, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse, trattandosi di norma regolamentare non ancora applicata, e di legittimazione attiva, con conseguente inammissibilità anche dell’intervento in giudizio della Italcanna s.r.l.. Alla pubblica udienza del 3 maggio 2001 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Con il ricorso in epigrafe due associazioni di pesca sportiva ed alcuni pescatori sportivi hanno impugnato il decreto del Ministero per le politiche agricole e forestali 27 luglio 2000, relativo alla “Determinazione dei criteri di ripartizione delle quote di pesca del tonno rosso”, nella parte in cui, all’art. 5, disciplina anche la pesca sportiva del tonno rosso; vengono coinvolti nell’impugnativa atti presupposti e connessi, quali pareri di organi tecnici collegiali. Interviene ad adiuvandum una società produttrice di articoli da pesca sportiva di altura. L’Amministrazione resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse trattandosi di normativa astratta e generale. L’eccezione non può essere accolta giacchè l’art. 5 impugnato reca una disciplina più restrittiva e vincolante di quella esistente, costituendo una lesione diretta ed immediata degli interessi di coloro che si dedicano alla pesca sportiva. Eccepisce altresì l’Amministrazione il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti. Nemmeno tale eccezione pregiudiziale può essere accolta. Dai verbali delle associazioni ricorrenti e dagli statuti emerge chiaramente la titolarità di un interesse specifico concernente la pesca sportiva, e le persone fisiche che ricorrono in proprio, oltre ad essere appartenenti a dette associazioni, non necessitano di una particolare legittimazione, in assenza di specifici titoli abilitativi personali, costituendo il provvedimento una limitazione ad una libertà di attività riconosciuta, in linea di principio, ad ogni cittadino. Circa poi la mancata presentazione della domanda d’iscrizione nell’elenco dei natanti di cui al comma 1 del citato art. 5, la circostanza, ad avviso del Collegio, non produce alcun effetto preclusivo, contestandosi in ricorso alla radice il poter del Ministero per le politiche agricole di disciplinare la materia, e, comunque, in particolare, anche la fissazione del termine per la presentazione di detta domanda. Anche l’intervento ad adiuvandum appare ammissibile, in quanto diretto a tutelare adesivamente interessi patrimoniali concreti dipendenti da quelli che s’intende tutelare con il ricorso principale. Ed invero, passando al merito, il ricorso appare fondato proprio in relazione all’assoluta incompetenza del Ministero per le politiche agricole e forestali a disciplinare la materia della pesca sportiva, sia pure del tonno rosso. Su analoga questione ha già avuto modo di pronunciarsi questo Tribunale, con sentenza della Sezione III^ n. 240 del 17 febbraio 1990, dalla quale questo Collegio non ha motivo di discostarsi, precisando che la materia della pesca sportiva può essere disciplinata solo con regolamento governativo e non con atti regolamentari di singoli ministeri. Infatti l’art. 17 della legge 14 luglio 1965 n.963, riguardante la pesca marittima, rinvia ad apposito regolamento la disciplina della pesca sportiva; ed il capo IV del DPR n. 1639 del 2 ottobre 1968 reca una dettagliata regolamentazione di tale disciplina sportiva. Che detto “regolamento” sia di natura governativa è dimostrato, sia dal fatto che l’art. 17 non demanda la disciplina ad alcun dicastero in particolare, sia dalla circostanza che trattasi evidentemente di regolamento di attuazione di normativa primaria, sia dalle esplicite specifiche previsioni di interventi ministeriali limitatamente ad alcuni particolari aspetti (art.32). In ogni caso, e conclusivamente, non potrebbe trovare spazio di disciplina, quanto meno esclusiva, in tale materia il potere del Ministero per le politiche agricole e forestali, considerate le sue specifiche attribuzioni, e tanto meno nell’ambito di una normativa di applicazione di direttive comunitarie rivolte chiaramente alla pesca professionale. Accolto il profilo dell’incompetenza, s’intendono assorbiti gli ulteriori profili di gravame. La condanna al pagamento delle spese di giudizio segue la soccombenza; esse vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione seconda ter, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’art. 5 del decreto del Ministero per le politiche agricole e forestali 27 luglio 2000 relativo a “Determinazione dei criteri di ripartizione delle quote di pesca del tonno rosso”; condanna il suddetto dicastero alla refusione delle spese di giudizio che liquida in £. 2.000.000 (due milioni) a favore dei ricorrenti ed in £. 1.000.000 (un milione) a favore dell’interveniente; ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 maggio 2001, con l’intervento dei magistrati: GIANNI LEVA Presidente GIULIO AMADIO Consigliere CARLO TAGLIENTI Consigliere est. |
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